LE 4 COMPETENZE CHE FANNO LA DIFFERENZA SUL LAVORO

 


“Adesso hai dimostrato quello che vali. E’ il momento di dimostrare che con te si lavora bene. Metti sul tavolo la positività, le idee, la disponibilità e il sorriso. Perché si dica non solo che fai bene il tuo lavoro, ma che è un piacere lavorare con te”. Era la fine di uno di quei pranzi che faccio periodicamente, come il tagliando all’auto. Almeno un paio di volte all’anno vedo persone che stimo, che per me sono state professionalmente importanti, da cui posso imparare. Non mentor, ma persone speciali sì.

Mettere sul tavolo con le idee la positività. Il “ce la facciamo”, “andrà bene”, “sarà un successo”. Con gli anni è diventato più facile, perché tanti timori te li lasci alle spalle e i traguardi che hai raggiunto ti fanno da gradini solidi per raggiungerne di nuovi. Allora ti preoccupi meno di essere adeguata e vai al sodo, tanto in fondo cosa possono toglierti di quello che sei? Forse allora riesci a mettere a frutto le “soft skills” che hai imparato sul campo. Quelle stesse competenze che oggi tutti ti chiedono e che sono sempre più “sociali” (badate bene, non “social”). In particolare il World Economic Forum ne indica quattro fondamentali.

La buona notizia, ti dicono gli esperti, è che se non le hai, le puoi imparare. D’altra parte l’interazione con le persone è tanto comune nelle nostre vite che non mancano le palestre per allenarsi. In realtà, a mio avviso, per quanto ti alleni, certe competenze hanno bisogno di un minimo di predisposizione naturale.

Prendiamo l’empatia per esempio. La capacità di ascoltare, comprendere e mettersi nei panni altrui è considerata una moneta di valore per chi vuole avere successo e fare carriera: serve per fare team, per motivare, per non perdere talenti, per capire quando è il momento o meno di fare una proposta o presentare un progetto. E’ riconosciuto che l’empatia possa aiutarti a trovare soluzioni più adatte al momento e alla persona che si ha di fronte. E certo un po’ di predisposizione naturale ci vuole per poter essere empatici. Ma in fin dei conti, ogni tanto mi chiedo se questo non rischi di porci troppi limiti, di farci aspettare per progetti che andrebbero fatti ora solo perché qualcun altro non è pronto, di non farci chiedere quello che ci spetta perché non è mai il momento o il luogo. Ma andiamo oltre.

Ascoltare, altra dote troppo rara e ritenuta fondamentale. Addirittura ci sono degli esercizi da fare: durante le riunioni stare in silenzio, aspettare che gli altri dicano la loro, ascoltare e farsi un’idea prima di esprimere un’opinione. Provateci, non sempre è facile. Ma spesso è utile. E a tua volta quando trovi qualcuno che ti ascolta è come se si creasse un patto implicito (“parliamone”), che crea legami di fiducia. Eppure bisogna sapere quando è il momento di smettere di ascoltare e tirare dritto.

Naturalmente poi c’è il mettere sul tavolo, oltre alle idee ai progetti e alle soluzioni, la positività. Un sorriso apre tante porte, diceva qualche nonna (non la mia) ed in fondo è vero. Se sei positivo, gli altri ti restituiranno positività, insegnano ai corsi. Non sempre è così, ma di certo il muso duro, quando fa ottenere le cose, costa anche a chi lo esercita non solo a chi lo subisce. Ma anche in questo caso a volte il sorriso non è la risposta adeguata e bisogna conoscere altre sfumature.

Infine la cooperazione. Lavorare in team è qualcosa da cui non si può più prescindere, anche nel lavoro giornalistico che è stato storicamente individualistico. Ora non si è più delle monadi che bastano a se stesse, si vive in un ecosistema (come le startup) e ci tocca interagire perché il lavoro sia un risultato corale. Eppure a volte non si può prescindere dal guizzo personale, come quando Magic Johnson andava in contropiede a canestro ai tempi dello showtime dei Lakers.

Tutto bello, tutto vero, quindi, anche se con i disginguo del caso. Poi arriva un collega e ti dice lapidario: “Tu non farai mai carriera perché sei contenta di quello che fai, sei soddisfatta dei risultati, ti dai da fare e si sa che si può contare su di te anche nei momenti critici. Il problema è che non rompi le scatole. E chi non rompe le scatole non fa carriera, si sa”. Ecco empatia, ascolto, positività e cooperazione belle competenze certo, ma saper rompere le scatole al momento giusto e per il tempo giusto non è una skill da poco. Peccato non la insegnino nei seminari e non ci siano mentor disposti a farti fare del training.


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