LA DEA MADRE: SIMBOLOGIA E CONSAPEVOLEZZA DELL'UTERO






Le grandi dee madri sono state tutte dee della fecondità: Gaia, Rhea, Era, Demetra in Grecia; Iside in Egitto e nelle regioni eleenistiche; Ishtar presso gli Assiro-Babilonesi; Astartc presso i Fenici; Kali presso gli indiani.

Si può dire che il simbolismo della madre si collega quello del mare, così come quello della terra, nel senso che entrambi sono ricettacolo di matrici di vita. Il mare e la terra sono simboli del corpo materno. Nel simbolo della madre quindi, si ritrova la stessa ambivalenza presente nei simboli del mare della terra: vita e morte sono correlate.

Nascere significa uscire dal ventre della madre, morire è ritornare alla terra; la madre alla sicurezza della protezione, del calore, della tenerezza del nutrimento, ma è anche il rischio di oppressione nell’ambiente ristretto e il pericolo di soffocamento nel prolungamento eccessivo della funzione di nutrice e di guida: la madre diventa allora la genitrice che divora il futuro genitore, la generosità che cattura e castra.

La madre divina, al contrario, rappresenta simbolicamente la sublimazione perfetta dell’istinto e l’armonia più profonda dell’amore; nella tradizione cristiana, la madre di Dio è la vergine Maria che concepì Gesù dallo spirito Santo.

I padri della Chiesa si sono dedicati al compito di svolgere le conseguenze di questo fatto apparentemente paradossale: Maria è la figlia di suo figlio (in quanto egli è Dio suo creatore) ed è la madre del suo Dio (in quanto egli è uomo, essendosi incarnati in lei).

Se si considera la natura divina del figlio, ella non l’ha evidentemente concepito: se si considera la persona unica di Gesù, è veramente sua madre perché gli ha dato la natura umana. Da qui il nome di Theotokos, madre di Dio, che fu così aspramente discusso nei concili dei primi secoli dopo Cristo e che esprime la più perfetta delle maternità.

Come sappiamo bene ormai dalla storia, i concili furono fatti da una parte per avvalorare la figura di Cristo come divinità, dall’altra per gestire le conseguenze politiche e sociali che un cambiamento nell’ordine divino (da paganesimo a cristianesimo) avrebbe portato.

Il potere non poteva rimanere nelle mani di una donna perché i seguaci di Cristo premevano per la sua divinizzazione.

La dea madre quindi è stata relegata a ruoli di fattrice, nutrice e servente.

Questo svilimento ha attraversato i secoli, le barbarie, le torture, i roghi delle “cosiddette” streghe la cui unica colpa probabilmente, era di non accettare la sottomissione a un Dio che già allora aveva subito la ferita del distacco dall’unità.

Dio rappresenta le regole, le norme che l’essere umano si auto-impone sulla via della felicità, rimanendo fermamente fuori da ciò che per lui è dannoso e penetrando in ciò che porta crescita e vita, pena il ripetersi degli eventi nella ruota del karma.

La Dea Madre rappresenta invece la capacità di accogliere sé stessi e l’altro, di custodire nel proprio grembo la scintilla divina, di farla crescere, di nutrirla, perché possa diventare un frutto da donare al mondo.

Questi due aspetti maschile penetrante – femminile accogliente devono procedere, nella psiche, di pari passo, pena il disequilibrio.

La Dea Madre: simbologia dell’utero

L’utero è la porta che permette alla vita stessa di venire alla luce. Una porta non solo metaforica, ma anche fisiologica.

La cervice si trova alla base del collo dell’utero, poco sopra il sesso femminile. Si apre e si chiude in base ai comandi del sistema endocrino. Secondo il sessuologo M. Choisy è proprio qua che la donna sperimenta il vero orgasmo. L’onda del piacere pervade il corpo portandola all’estasi, all’incontro con l’energia primordiale.

L’utero viene spesso associato alla simbologia della caverna. Un luogo profondo, umido e buio, dove la vita ha la possibilità di prendere forma, ma non solo. Sono molti i riti iniziatici che prevedono l’isolamento per interi giorni all’interno di una caverna. La l’uomo e la donna entrano così in contatto con se stessi, con le loro paure, e solo li hanno la possibilità di accedere al potere interiore, di sviluppare la consapevolezza per una nuova rinascita.

Anche il rapporto sessuale ha lo stesso scopo, quello di far accedere la coppia che lo sperimenta (nella giusta maniera) ai regni superiori, liberi dalle catene imposte.

La simbologia dell’utero è collegabile all’elemento acqua. Il bambino nel ventre materno è immerso nel liquido amniotico. La vita prende vita dall’acqua. Sono molte le leggende che narrano di misteriose e magiche sorgenti, dove gli uomini e tutto il creato nascevano da esse. Uomini che parlano con le acque per comprendere i misteri umani.

L’acqua rappresenta le emozioni. Parlare con l’acqua significa quindi interagire con le proprie emozioni per permettere alla Dea Madre di manifestarsi. Se non siamo in contatto con le nostre emozioni profonde, non possiamo nemmeno pensare di manifestarci per ciò che siamo.

La Dea Madre: la riscoperta di Sé

La donna oggi si trova in una condizione di riscoperta del proprio potere personale, potere di accoglienza femminile, con cui spesso deve fare i conti, completamente impreparata.

Per riscoprire questo potere, la donna è chiamata ad unire gli aspetti psichico, emozionale e fisico del proprio femminino e renderlo sacro.

La Dea madre: aspetto psichico

L’aspetto psichico della Dea madre passa attraverso il recupero e l’interiorizzazione dei simboli arcaici relativi alla femminilità:

Il vaso

Il vaso è ciò che meglio rappresenta la funzione del femminile, che è quella di contenere e mantenere la vita (acqua), di proteggere e nutrire, (cibo).

Il vaso comunque inevitabilmente cela e racchiude al suo interno qualcosa di invisibile e quindi misterioso. La scoperta personale dell’invisibile porta la donna a conoscersi interiormente come Dea Madre e ad incarnarne quindi le qualità.

Secondo Neumann, i miti, i riti, le religioni dell’umanità primitiva, basavano i loro principi su una chiara formula simbolica : donna = corpo = vaso = mondo, da cui nasce la superiorità che per molto tempo ha accompagnato la figura femminile, generando una serie di pratiche religiose volte all’adorazione della Dea Unica, Grande Madre.

Io sono più propenso a pensare che avendo l’universo dei cicli ben precisi, si sia passati da una struttura matriarcale della società (popoli antichi: elleni, fenici, egizi, assiro-babilonesi) a una struttura patriarcale (Cristianesimo), per tornare oggi a rivalorizzare la struttura matriarcale. Stiamo crescendo come esseri e attraversiamo cicli diversi che ci portano a trasformarci, salendo come la spirale del DNA di cui siamo composti.

Il serpente cosmico o Uroboro

Dal greco “ουροβóρος” ossia “mangiare la coda”, l’ Uroboro Primordiale è uno dei simboli più antichi e rappresenta un serpente che si morde la coda. Divorandosi e nello stesso tempo rigenerandosi continuamente forma un ciclo continuo di nascita, morte e rinascita.

E’ uno dei più noti simboli di quella perduta unità con il tutto che è il ricordo dell’utero materno, è l’archetipo primordiale e ci conduce inevitabilmente alla prefigurazione della Grande Madre. Ci riporta alla primaria condizione umana dell’essere avvolto, nutrito e contenuto, cinto e stretto, protetto e imprigionato nell’utero materno, in un ambiente fluido e indistinto, buio e caldo, immerso nell’oblio, nella totale inconsapevolezza, nell’indifferenziazione.

L’indifferenziazione è il contrario di “individuazione”.

Individuazione è un concetto elaborato nell’ambito della psicologia analitica dallo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung negli anni ’20. È sinonimo di quel processo psichico unico e irripetibile di ogni individuo che consiste nell’avvicinamento dell’Io con il Sé, cioè con una crescente integrazione e unificazione dei complessi che formano la personalità.

Al contrario l’indifferenziazione consiste in una capacità femminile ben specifica dell’essere umano che per brevità tradurremo con “capacità di perdersi“. Questo avviene molto facilmente in viaggio, quando veniamo accolti da una terra, ad esempio, per farti capire. Possiamo perderci dentro un altro essere umano che ci completa, dentro un’opera d’arte, nella meditazione, dentro un simbolo, appunto.

Va da sé che individuazione e indifferenziazione vanno di pari passo nello sviluppo del Sé transpersonale.

Lo sviluppo psico-biologico del femminile, comprende poi un simbolismo molto complesso, quello del sangue: poiché attraverso il sangue della mestruazione la fanciulla diventa donna e sempre attraverso il sangue partorisce, il sangue diventa simbolo della vita e della generazione. E poiché il latte stesso che nutre il bambino è prodotto dalla donna, essa è depositaria della misteriosa capacità di trasformare il sangue in nutrimento.

La Dea madre: aspetto emozionale

L’aspetto emozionale che normalmente pensiamo al centro delle nostre vite, è solo uno dei tre della trinità.

La donna che nel proprio utero riunisce l’aspetto psichico, quello emozionale e quello fisico, diventa divina.

L’aspetto emozionale è come una soglia. La dea madre che è presente a sé stessa, si valuta correttamente, non soffre quindi di mancanza di autostima, non elemosina Amore per colmare la solitudine, ha smesso di svalutarsi, di considerarsi piccola, inutile, non amata, lascia entrare solamente l’uomo che le dona Amore vero e la cinge per proteggerla perché la ama.

Quando l’aspetto emozionale non è in equilibrio, la donna lascia “la porta aperta” alle influenze esterne, complicandosi inevitabilmente la vita (come detto sopra aspetti maschili e femminili devono coesistere, collaborare). Questo porta a gravidanze indesiderate, a volere un figlio a tutti i costi solo per riempire un vuoto o stabilizzare una relazione che non funziona, a dare l’accesso alla grotta sacra, al ventre, a chiunque.

Finché la donna agisce per compensare le proprie ferite, non trova pace ed equilibrio.

È necessario quindi imparare a bastare a sé stesse, a nutrirsi di positività, a stare bene per attrarre poi un uomo che rispecchi queste qualità…


Se tu ti svaluti, gli altri ti svalutano.
#instantkarma

La Dea madre: aspetto fisico

“Cosa provo in compagnia del mio utero?”
“Cosa penso del mio utero?”
“Come percepisco il mio utero?”
“Quali immagini mi evoca? O suoni? O sensazioni?”

– il desiderio, per permettere l’ascolto profondo di ciò che vuoi veramente per te stessa;
– il perdono, per lasciare andare il senso di colpa collegato con l’essere donna o con gli aspetti femminili che non accetti;
– la vergogna, se sabota i tuoi rapporti;
– l’istinto di conservazione, se ti svaluti facendoti abusare;
– l’istinto materno, se ritieni di esserne carente e vuoi cambiare;
– l’ecoprassia, se senti che stai agendo conformemente a regole che non ti appartengono;
– la delusione (ad esempio), se hai abortito e ne porti le conseguenze su di te.

Mettendoti in ascolto del tuo utero, permetti a te stessa di accedere al ruolo che ti spetta: la Dea Madre.’

Max Volpi

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