L'EVOLUZIONE CHE ACCADE GRAZIE ALL'INTEGRAZIONE
Di Caterina Civallero e Maria Luisa Rossi
Un compito aperto, incompiuto, lascia una sorta di ansia da compimento, questa sensazione è definita effetto Zeigarnik, dal nome della scopritrice lituana Bluma Zeigarnik, una psicologa degli anni 20 che, seduta comodamente a sorseggiare il suo caffè in un bar, osservando il comportamento dei camerieri non potè fare a meno di notare che essi erano in grado di ricordare le ordinazioni parzialmente eseguite senza alcun problema per poi dimenticarle immediatamente nel momento stesso in cui l’obiettivo era stato soddisfatto.
I suoi studi condotti sotto l’ala protettrice del Professore Kurt Levin le permisero di dimostrare comportamenti della psiche e della memoria davvero innovativi per quei tempi. L’effetto Zeigarnik descrive come la mente umana ha più facilità a continuare un’azione già cominciata e portarla a termine, piuttosto che dover affrontare un compito partendo da zero. Come a dire che in memoria restano con più facilità compiti vecchi che non sono stati portati a termine. La loro incompiutezza crea una tensione capace di generare una sorta di spinta biologica elettromagnetica. Sotto l’effetto di questa motivazione un compito interrotto rimane nella memoria meglio e più profondamente di un’attività completata. Ma contemporaneamente il sistema psiche resta in tensione e in imbarazzo rispetto a nuovi compiti da intraprendere se la massa impegnata diventa ingombrante. Analizzando l’origine etimologica della parola “psiche” (respiro, vita, ossia il principio per cui si ha vita e respiro), scopriamo quindi che la psiche sottostà alle regole della vita, pertanto porta in sé modalità biologiche. Pertanto, in considerazione del fatto che nei sistemi biologici le cose funzionano proprio come i meccanismi della nostra psiche, scopriamo così che un atto biologico non integrato resta in memoria fino a che non viene agganciato dal sistema e compreso. Se un compito resta incompiuto impegna la memoria e “ostacola” la sua fluidità un po’ come quando guidiamo con il freno a mano tirato.
Questa curiosa modalità del comportamento umano spinse la dottoressa Zeigarnik a compiere ricerche fino a dimostrare come restano in memoria molto più tenacemente gli atti inconclusi. A rendere indelebili i ricordi è proprio la sensazione di non efficienza. Quasi un senso di colpa che nel sistema nervoso centrale si comporta come uno di quei programmi che si palesano sul desktop in attesa di essere eseguiti, e che tornano a fare capolino più o meno insistentemente fino a che non gli si presta attenzione e si da loro un ruolo.
Questa necessità di integrazione di un atto incompiuto sopravvive alle generazioni e attraversa lo spazio ed il tempo in attesa di essere portato a compimento. Recenti ricerche confermano gli studi degli anni ’20 e ci informano dell’esistenza di una particola proteica che resiste per tre generazioni e condiziona il nostro DNA affinché resti in memoria il programma da eseguire. Le sacre scritture parlano che le colpe dei genitori ricadono sui figli per sette generazioni, in laboratorio scopriamo che ne bastano tre, ma il parere è concorde nel definire che esiste una memoria transgenerazionale rispetto al trauma.
La Dottoressa Isabelle Mansuy docente all’Istituto federale di tecnologia (Eth) e dell’ateneo di Zurigo e i ricercatori del Brain Research Institute dell’Università di Zurigo sono riusciti a identificare piccole frazioni di materiale genetico chiamato microRna. Si tratta di brevi sequenze, veicoli con cui vengono trasmesse le istruzioni per costruire le proteine ma conservano anche la memoria di eventi traumatici. Altre notizie sono riportate su
http://www.repubblica.it/scienze/2014/04/13/news/genitori-traumi_figli-83509020/.
Nel contesto della sindrome del gemello che resta, argomento di cui trattiamo nel nostro libro Il mio gemello mai nato (Uno editori 2018) prendendo in esame la sintomatologia in chiave biologica, potremmo parlare di una memoria ereditata.
Ma come possiamo rintracciare queste memorie, come possiamo decodificarle e tradurle in qualcosa di attendibile e di concreto?
Per iniziare a ragionare in merito occorre precisare e ricordare che la sindrome del gemello è una condizione non patologica dell’essere. Scoperte scientifiche recenti portano in luce dati in grado di stimare che essere concepiti non soli all’interno dell’utero riguarda il 98% della popolazione. Un evento poco conosciuto inizia finalmente a colorarsi di normalità e getta straordinaria luce sul restante due per cento dei casi, rendendo esso un’anomalia, o se preferiamo “una eccezione che conferma la regola”. Solo in alcuni casi la sindrome del gemello che resta diventa stato patologico di sofferenza emotiva, casi ai quali ci riferiamo nel nostro ricercare. Conoscere la sindrome del gemello che resta è un necessario atto di conoscenza culturale, conoscere gli effetti che può avere in caso di manifestazione patologica è uno strumento terapeutico da utilizzare come catalizzatore di guarigione e di integrazione.
Per meglio comprendere apriamo insieme un discorso su un argomento molto interessante che riguarda il “campo morfico” e mettiamolo in relazione con l’epigenetica; vediamo insieme in cosa consiste un campo morfico: Saxon Burr, professore alla Yale University, tra gli anni ’30 e ’50, ha studiato, con complicate apparecchiature tecniche, i campi elettrici che circondano un organismo vivente e ha trovato, per esempio, intorno al chicco di grano, un campo avente la forma della pianta matura, cresciuta, e intorno a un uovo di rana un campo avente la forma del corpo di una rana adulta. Egli ne ha concluso che tutti i corpi viventi possiedono simili campi elettromagnetici. Nel 1926, l’ingegnere Lakhovsk pubblica le sue considerazioni nel suo libro “L’origine della Vita: “la vita è una questione di onde elettromagnetiche”. Anche la sua “Teoria dell’oscillazione cellulare”, che gli vale il Premio Internazionale di Medicina (Vienna 1939), si basava su una serie di prove sperimentali. Sempre nello stesso periodo (1936) Gustav Stromberg, astronomo all’osservatorio di Mont Wilson e professore di biologia al Carnegie Institute (USA), dichiara che gli esseri viventi emanano un campo elettromagnetico.
Più recentemente, tra gli anni ’80 e ’90, F.A. Popp, biofisico all’Università di Kaiserslautern (Germania), ha scoperto il “linguaggio cellulare” e gli ha attribuito il suo significato bio-fisico. Le cellule emettono dei fotoni che caratterizzano lo stato fisiologico della cellula. D’altro canto, in funzione delle ricerche del Prof. Popp, che hanno dimostrato come le cellule comunicano mediante segnali fotonici, siamo portati a pensare che è probabilmente questo il tipo di energia che scorre lungo i meridiani (i canali energetici che attraversano tutto il nostro corpo, secondo i dettami della Medicina Tradizionale Cinese).
Poiché tutte le informazioni relative ad una persona, ogni azione ed ogni avvenimento della vita, sono registrate in questi campi morfici, in essi si nasconde un inimmaginabile tesoro cognitivo. Coloro che padroneggiano la tecnica adatta per accedere a questo tipo di informazioni, possiedono una chiave universale per aprire porte nascoste
I campi morfici esistono fin da subito, fin dal primo anelito di vita, fin dal nostro concepimento, segno di Vita psico-biologica, fotoni portatori di vita, messaggeri che incidono la memoria genetica, sollecitati dagli impulsi emotivi ambientali. Oggi a sostegno di teorie, che parevano così azzardate fino a pochi anni fa, l’epigenetica ci permette di dare dignità scientifica ad intuizioni e teorie dal passato sapore scientifico; essa studia i meccanismi responsabili di cambiamenti ereditabili nelle funzioni del genoma senza alcuna modificazione nella sequenza del DNA.
Per fattori epigenetici, per meglio precisare, si intendono tutti quei fattori che non sono scritti nel nostro DNA, ma che riescono a “dare istruzioni” al DNA stesso informandolo su quali sono i geni da esprimere o “silenziare” questi fattori vanno ad influenzare, quindi, la funzione e le caratteristiche metaboliche delle cellule
Come interagisce il campo morfico che si viene a creare in utero quando a condividere questo spazio sacro non siamo soli?
Le nostre ipotesi, confermate dalle ricerche e dal materiale raccolto per la stesura del primo libro Il mio gemello mai nato e del secondo che verrà pubblicato nei primi mesi del 2019, ci dirigono verso queste riflessioni. Il feto memorizza, il feto registra un’onda di forma che determina un forte imprinting. Ogni reazione futura si genera nella fucina uterina. Da qui inizia la formazione di una memoria che sottostà a leggi naturali, che in seguito diverranno logiche e culturali. Come afferma il regista Egidio Termine durante un’intervista rilasciata alla fine della proiezione del suo film Il figlio sospeso (Torino 25 maggio 2018 Cinema Esedra):
l’essere umano vive in una continua tensione tra ciò che in lui è naturale e il suo bisogno di essere culturale. Ma il culturale parte sempre dal naturale, è ancorato in esso. La cultura può migliorare la natura, potremmo anche dire che tutto nell’essere è culturale, anche l’amore -perché ad amare si impara-, ma quando si tratta di eliminare la natura …se si elimina la natura, l’essere umano scompare.”
Spesso per cultura non ci permettiamo, non ci concediamo il riconoscimento di Esseri Naturali, la Natura ha le sue regole dalla notte dei tempi, regole biologiche, ma anche psichiche, che non possono essere ignorate o bypassate, che prevedono la nascita e la morte di un ciclo, l’inizio e la fine fisiologica un’esperienza, il principio e il termine di una azione.
Ogni movimento interrotto, ogni esperienza inconclusa, ogni ciclo sospeso genera una memoria emotiva, generazionale, psichica biologicamente compensatoria.
La grande scoperta della dottoressa Zeigarnik ci suggerisce un’unica soluzione: compiere ciò che è incompiuto, portare a termine e realizzare l’esperienza, chiudere il ciclo perché permettendoci di attraversare quel vissuto possiamo integrarlo, lasciarlo andare e aprire il nostro cuore alle nuove esperienze.
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